sabato 29 febbraio 2020

Brexit, ultimatum di Londra alla Ue: quattro mesi per un accordo sul commercio



Il mandato negoziale per le trattative commerciali con la Ue chiede un accordo di libero scambio sul modello canadese. Altrimenti Londra è pronta a rompere già a giugno
di Nicol Degli Innocenti
LONDRA - La linea è ancora più dura del previsto. Il mandato negoziale per le trattative commerciali con l’Unione Europea, pubblicato oggi dal Governo britannico, chiede un accordo di libero scambio sul modello canadese. Se non sarà possibile, Londra è disposta ad abbandonare i negoziati già in giugno e chiudere in anticipo il periodo di transizione post-Brexit.
Nessun allineamento alle regole Ue
Downing Street ha ribadito oggi che la Gran Bretagna intende essere del tutto indipendente e libera da qualsiasi allineamento alle regole Ue e non ha intenzione di essere soggetta alla giurisdizione della Corte di Giustizia Europea in caso di dispute.
Londra spera di avere «un accordo di massima» in giugno e di concludere i dettagli entro settembre. Se però nei prossimi mesi non si faranno passi sufficienti, il Governo britannico in giugno «dovrà decidere se l’attenzione del Regno Unito dovrebbe spostarsi dai negoziati e concentrarsi solo sulla continuazione dei preparativi domestici per uscire dal periodo di transizione in modo ordinato ».
Il Governo di Boris Johnson respinge quindi le richieste europee di allineamento regolamentare, di parità di condizioni e di un ruolo per quanto limitato per la Corte europea e anzi accusa Bruxelles di voler impore «regole più rigide e onerose» per limitare la sovranità britannica, chiedendo di più di quanto abbia fatto nei negoziati con il Canada o il Giappone.
I rapporti tra Gran Bretagna e Ue devono essere basati «sulla cooperazione amichevole tra parti sovrane e uguali», secondo Londra, il che vuol dire che entrambe le parti devono rispettare la reciproca «autonomia legislativa». Johnson straccia quindi la dichiarazione politica che era stata concordata e che stabiliva parità di condizioni per una transizione senza scosse.
Le richieste di Londra
Il mandato pubblicato oggi elenca le richieste britanniche, prima fra tutte un accordo di libero scambio senza tariffe, dazi o limiti quantitativi sulle merci e i prodotti agricoli. Londra punta anche a raggiungere entro giugno un’intesa sul settore finanziario basata sull’equivalenza.
Sulla questione-chiave della pesca Londra chiede un accordo a parte, soggetto a negoziati annuali che stabiliscano quote e regole di accesso ai mari. La Gran Bretagna vuole una serie di accordi separati anche sull’aviazione, sull’energia e sull’immigrazione, mentre la Ue ha messo in chiaro di volere un accordo-quadro che comprenda tutto, pesca compresa.
La distanza tra Gran Bretagna e la Ue è quindi vasta, con differenze sulle procedure, sul metodo, sui contenuti e sugli obiettivi. I negoziati che partono lunedì si prospettano tutti in salita.

mercoledì 26 febbraio 2020

Coronavirus, da epidemia a pandemia. Quando e perché


il mondo scientifico il nuovo coronavirus sarebbe a un passo dalla pandemia

L’epidemia del nuovo coronavirus sta per entrare in una nuova fase. Ne è sicuro il mondo scientifico: secondo molti virologi ed epidemiologi, intervistati dalle riviste Science e Nature, si sarebbe a un passo dalla pandemia. Prima di renderlo ufficiale, sempre secondo gli scienziati occorre rispondere ad alcune domande importanti: se i bambini sono suscettibili all’infezione e se la trasmettono allo stesso tasso degli adulti.
Coronavirus: da epidemia a pandemia
“L’identificazione di casi precedentemente non riconosciuti in gran numero in Iran e Italia, oltre che Corea del Sud, ci mostra che è impossibile contenere il coronavirus”, commenta su Nature Ben Cowling, epidemiologo dell’università di Hong Kong. Secondo Marc Lipsitch, dell’università di Harvard, “qualsiasi cosa dica l’Organizzazione mondiale della sanità (Oms), io penso che le condizioni epidemiologiche per una pandemia ci sono”.
Anche per Christopher Dye, dell’università di Oxford, la finestra di contenimento del virus è quasi ormai chiusa, e il virus si diffonderà ampiamente fuori dalla Cina. A destare preoccupazione sono soprattutto le morti in Iran, paese da cui sono stati esportati casi in Libano e Iraq. “È preoccupante perché i viaggi internazionali non sono molto comuni tra gli iraniani. È quindi probabile che nel paese vi sia un alto numero di casi non rilevati, che stanno circolando da tempo”, rileva Andrew Tatem, dell’università di Southampton.
Coronavirus: le misure di contenimento
L’altra questione riguarda le misure di contenimento adottate, che presto non saranno più praticabili. “Le misure ai confini non saranno efficaci o praticabili a lungo, e bisognerà invece concentrarsi per mitigare l’impatto sulla comunità, finchè non sarà disponibile il vaccino”, aggiunge su Science Luciana Borio, ex consulente di biodifesa del Consiglio di sicurezza Usa.
Anche per Alessandro Vespignani, infettivologo della Northeastern University, “la sfida ora è mitigare, mantenere funzionante il sistema sanitario e non farsi prendere dal panico”. I bandi ai viaggi possono inoltre ritorcersi contro, ostacolando il flusso di forniture mediche.
“Probabilmente non sarebbe prudente allentare domani le restrizioni ai viaggi – aggiunge Lipsitch – ma tra una settimana, se la malattia dovesse continuare a diffondersi al ritmo degli ultimi giorni, penso che diventerà chiaro che non sono più la contromisura principale”. Per prepararsi a ciò che sta per arrivare, concludono gli esperti, gli ospedali devono fare scorta di materiale di protezione respiratoria e aggiungere posti letto, mentre andranno aumentate le vaccinazioni per influenza e infezioni da pneumococco, per ridurre il carico delle patologie respiratorie, e rendere più semplice l’identificazione dei casi di Covid-19.
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Coronavirus, informazioni aggiornate di pubblica utilità


Cos’è il Coronavirus: domande a risposte frequenti (sul sito del Ministero della Salute)
Il virus che causa l’attuale epidemia di coronavirus è stato chiamato “Sindrome respiratoria acuta grave coronavirus 2” (SARS-CoV-2) la malattia provocata dal nuovo Coronavirus ha un nome: “COVID-19” (dove “CO” sta per corona, “VI” per virus, “D” per disease e “19” indica l’anno in cui si è manifestata).

I sintomi più comuni di un’infezione da coronavirus nell’uomo includono febbre, tosse, difficoltà respiratorie. Nei casi più gravi, l’infezione può causare polmonite, sindrome respiratoria acuta grave, insufficienza renale e persino la morte.
Il virus si diffonde principalmente attraverso il contatto con le goccioline del respiro delle persone infette, ad esempio tramite la saliva, tossendo e starnutendo, tramite i contatti diretti personali e anche tramite le mani contaminate (non ancora lavate) bocca, naso o occhi.
Secondo i dati attualmente disponibili, le persone sintomatiche sono la causa più frequente di diffusione del virus. L’OMS considera non frequente l’infezione da nuovo coronavirus prima che sviluppino sintomi.
Il periodo di incubazione varia tra 2 e 12 giorni; 14 giorni rappresentano il limite massimo di precauzione.
La via di trasmissione da temere è soprattutto quella respiratoria, non quella da superfici contaminate. E’ comunque sempre utile ricordare l’importanza di una corretta igiene delle superfici e delle mani. Anche l’uso di detergenti a base di alcol è sufficiente a uccidere il virus. Per esempio disinfettanti contenenti alcol (etanolo) al 75% o a base di cloro all’1% (candeggina).
Le malattie respiratorie normalmente non si trasmettono con gli alimenti. Anche qui il rispetto delle norme igieniche è fondamentale.

martedì 25 febbraio 2020

Sapelli: le origini del caos che sta uccidendo l’Europa



I Paesi membri non riescono ad arrivare a un accordo sul bilancio dell’Ue. Un segnale importante sul presente e il futuro dell’Unione

La Spagna ha annunciato che imporrà una digital tax anche senza ricercare un accordo europeo, ma per iniziativa diretta di un Governo che si è formato dopo una serie di defatiganti negoziati e che si regge su una fragilissima maggioranza. E con una Catalogna sull’orlo del collasso istituzionale perché i suoi leader più noti e protagonisti delle vicende di un indipendentismo di fatto sempre più insurrezionale sono stati condannati a lunghi anni di carcere o si trovano in esilio. Contro questi ultimi stanno procedendo i giudici dell’Alta corte europea con provvedimenti di estradizione che non potranno che infiammare gli animi dei seguaci degli indipendentisti e – di contro – dei centralisti, che sembrano tornati a risorgere in forma trasversale con inaudita forza.
Mentre un alleato storico della Germania si dibatte in queste difficoltà istituzionali e reagisce alla sua crisi di fatto attaccando gli Usa, che avevano intimato ai loro storici alleati di desistere da operazioni fiscali di tal fatta, ebbene la Commissione europea sta dando una mortificante prova di impotenza, unitamente al Consiglio, non riuscendo a raggiungere accordo sul futuro bilancio pluriennale.
L’Europa è attraversata da faglie sempre più profonde destinate ad approfondirsi dopo la cosiddetta Brexit. Si insiste, nella discussione sul bilancio pluriennale, a questo proposito, sui bilanci contabili. Ma si dimentica spesso che nei bilanci non risultano i benefici (o gli ostacoli) che alla crescita e allo sviluppo economico continentale derivano dal regime di libero mercato, che favorisce di fatto le nazioni con cosiddetto “saldo netto” sfavorevole, ossia quelle che ricevono assai meno di quanto versano alle casse dell’Unione – e queste nazioni sono le più potenti se si valuta tale potenza sin base al Pil e alla produzione industriale. La Germania è quella con più alto saldo netto sfavorevole, seguita dalla Francia e poi dall’Italia.
Un tempo la Francia aveva più o meno lo stesso saldo netto sfavorevole del Regno Unito. Ed è esattamente l’uscita dall’Ue di Londra che ha scatenato un conflitto tra nazioni che pare oggi difficilmente sanabile. Manca naturalmente un contributore importante e – mentre si cerca di riempire il vuoto contributivo che si è creato – crescono le richieste dei cittadini europei (come si desume dai sondaggi di opinione e non certo da confronti politici accesi e ragionati su questi temi) di aumentare l’impegno per la sicurezza e per i controlli delle migrazioni. Ma dinanzi a queste esigenze le prime proposte scaturite dall’euro-tecnocrazia sono state quelle di ridurre le sovvenzioni all’agricoltura e alla “politica di coesione”. Di più, e questo interessa particolarmente l’Italia, come tutti i “Sud dell’Europa”, si minaccia di escludere ogni incentivo a sostegno delle nostre regioni, incluso il Mezzogiorno. Inoltre, si propone un’esplicita “condizionalità” nell’erogazione di fondi Ue, subordinandola al rigoroso rispetto dei valori fondamentali dell’Unione o delle regole su deficit e debito pubblico degli Stati. Simili opzioni possono privare le nazioni un tempo beneficiate di somme ingenti, che oggi arrivano dal bilancio Ue e che, a livello di investimenti, non verrebbero di certo compensate dai pur apprezzabili interventi europei per migranti e sicurezza.
Dal confronto aspro che si sta delineando sul bilancio europeo pluriennale emergono tutte le debolezze in cui si è sempre più avvoltolata la tecnocrazia europea e gli Stati che ne decidono le sorti, ossia la Francia e la Germania, alleate sulla carta (Trattat di Aquisgrana docent) e separate, invece, dalla storia e dal rapporto con gli Usa nella praxis odierna. Ma tutto risiede nelle trasformazioni che il progetto europeo ha subito.
Esso è stato originariamente varato con l’obiettivo dichiarato di garantire la pace attraverso una rafforzata cooperazione politica, che doveva essere fondata su un crescente benessere e una stretta solidarietà, così da contribuire a costruire una reciproca fiducia tra “nemici tradizionali”. Questo processo fu costruito sull’aspettativa che tutti i Paesi europei avrebbero tratto vantaggi da una più stretta integrazione economica. Uno sviluppo che doveva inoltre essere socialmente bilanciato e solidamente radicato nelle democrazie nazionali occidentali, per fare da contrappeso ai sistemi economici e politici del blocco orientale. Questo processo radicato verso un progetto sociale, solidale e democratico di cooperazione europea fu quasi immediatamente abbandonato, infatti, terminata la guerra civile europea che imponeva di condurre politiche sociali in funzione anti-sovietica, dopo la “caduta del muro” nel 1989.
Le modifiche ai trattati europei che vi hanno fatto seguito hanno avuto come obiettivo di rafforzare le forze di mercato e la concorrenza tra capitali e sul mercato del lavoro, ridurre la sovranità politica dei singoli Paesi e rafforzare nel contempo il dominio delle istituzioni dell’Ue da parte, volta a volta, della Francia e della Germania, con un peso crescente di una tecnocrazia incontrollabile e votata alla direzione dall’alto delle società europee.
Il risultato di queste modifiche ai trattati ha aumentato la pressione economica e politica sull’originaria cooperazione tra Stati nazionali. Un numero crescente di direttive dell’Ue è stato assunto con una maggioranza qualificata, con la quale gli interessi delle nazioni meno potenti geopoliticamente, prima che economicamente, sono stati soffocati.  Le frontiere sono state aperte senza regole democraticamente identificate da un Parlamento non di facciata come è invece quello europeo e la concorrenza economica è stata inasprita e non solo sul mercato delle merci, ma anche in quello dei capitali e del lavoro, con conseguenze destabilizzanti sulla possibilità di condurre delle politiche sociali e distributive appropriate alla realtà dei diversi Paesi.
Il sogno europeo di una pacifica, affluente e socialmente equilibrata cooperazione dentro gli accordi che originariamente furono raggiunti nel Trattato di Roma, si è infranto. L’élite “europea” guidata dai burocrati di Bruxelles, dagli interessi del capitale non solo europeo e da un ceto “alto” per reddito e formazione istituzionale intellettuale, si autoilluse (e si autoillude) che il desiderio maggiore dell’opinione pubblica fosse e sia quello di realizzare gli “Stati Uniti d’Europa”, mediante un’accelerata cooperazione economica e poi politica. L’Europa sociale fu accantonata a vantaggio di un’Europa centralistica, basata sul mercato e dominata dai capitali.
Il desiderio dei popoli europei di continuare sulla strada della giustizia sociale, sia sul piano nazionale sia europeo, è stato sistematicamente spazzato via con affermazioni dispregiative come “nazionalismo”, “populismo” e “mancanza di conoscenza”. In alternativa si è proposto lo Stato europeo competitivo che dovrebbe, al contrario, in conseguenza della globalizzazione finanziaria, rafforzarsi, mentre lo stato del benessere, dopo il “crollo del muro”, è stato via via posto in discussione. Il risultato di questo indebolimento delle democrazie nazionali e delle politiche sociali è evidente: una disoccupazione record e una crescente povertà e ineguaglianza.
In questo contesto il bilancio europeo e la discussione a cui lo si sottopone altro non è che un sistema delle entrate, che se rimane dipendente dai contributi statali, come pare sia inevitabile, non potrà che ingenerare conflitti continui. Va “compensata” l’uscita del Regno Unito, ma i governi nazionali, come si evince dalla stampa europea e dalle dichiarazioni governative, continueranno a voler trasferire alla cuspide eurocratica il meno possibile delle loro risorse statali, per gestire invece da sé quote crescenti dei bilanci nazionali. La Commissione, invece, si orienta su nuove tasse: ma tale politica non fa e non farà che aumentare le distorsioni e le continue elusioni che scaturiscono dalle differenze tributarie tra gli Stati.
Il cane europeo si morde la coda sempre più affannosamente.
Pubblicazione: 23.02.2020 - Giulio Sapelli

lunedì 24 febbraio 2020

Coronavirus, settima vittima italiana: quanti sono i contagiati



La situazione aggiornata dell'emergenza coronavirus in Italia: numeri e dati su contagi e decessi e tutte le informazioni utili
Cresce la paura in Italia per l’epidemia da coronavirus che sta tenendo tutto il paese col fiato sospeso. Secondo l’ultimo bollettino diramato da Angelo Borrelli, capo della Protezione Civile nonché commissario per l’emergenza da coronavirus, i casi accertati in Italia sono 23o e 7 le vittime.
Stando alle informazioni trapelate sono 101 i ricoverati con sintomi, 27 in Terapia intensiva e 94 in isolamento domiciliare. Sono divisi tra Lombardia (173, più 6 vittime), Veneto (32, più 1 vittima), Emilia Romagna (18), Lazio (3), Piemonte (3) e Alto Adige (1).
Coronavirus, chi sono le vittime
Le vittime accertate per il virus sono fin qui sette. Si tratta di pazienti anziani le cui condizioni cliniche pregresse erano già compromesse. La prima vittima in Italia è stata Andrea Trevisan, il 78enne di Vo’ Euganeo morto all’ospedale di Schiavonia sabato, poi la 75enne di Casalpusterlengo e la 68enne oncologia morta all’ospedale di Crema domenica.
La prima vera e propria impennata di decessi è avvenuta invece nella giornata di lunedì, col picco di 4 morti: si tratta di un 84enne bergamasco, un anziano di 88 anni nato a Caselle Landi e residente a Codogno, un 80enne di Castiglione d’Adda ricoverato al Sacco di Milano e un 62enne dializzato morto a Como.
Nella giornata di lunedì era trapelata la notizia di un altro decesso, avvenuto a Brescia e poi smentito.
Coronavirus, Italia bloccata: quali sono i Comuni isolati
Tante le misure adottate nelle regioni colpite dal virus per limitare il contagio. Il Governo ha deciso il divieto di allontanamento e di ingresso nelle aree ‘focolaio’ del coronavirus, che verranno presidiate dalle forze di polizia e, se necessario, dai militari. La mancata osservanza delle prescrizioni prevede delle sanzioni, che vanno da una multa fino all’arresto per 3 mesi.
I blocchi, come previsto dalle disposizioni del Governo, interessano 11 zone: si tratta di Codogno e altri nove comuni del lodigiano (CasalpusterlengoCastiglione d’AddaFombioMaleoSomagliaBertonicoTerranova dei PasseriniCastelgerundo e Sanfiorano) e l’area di Vo’ Euganeo in provincia di Padova.
Coronavirus, le informazioni utili su come comportarsi
Il numero attivo a livello nazionale dedicato all’emergenza coronavirus è il 1500. Lombardia e Veneto, cioè le due regioni al momento più colpite dall’emergenza coronavirus in Italia, hanno istituito dei numeri verdi che i cittadini possono contattare per ottenere informazioni utili relative al virus.
In Lombardia il numero verde da chiamare è 800-894545, mentre in Veneto è possibile contattare il numero verde 800-462340. Anche in Emilia Romagna è stato attivato un servizio telefonico: 800-033033.
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Coronavirus, crollo in Borsa: Milano perde il 5,4%, bruciati 30 miliardi. Petrolio giù, oro record


L'effetto Coronavirus» si abbatte sui mercati mondiali. E l’Italia, che da venerdì è alle prese con la diffusione del virus, è tra i mercati finanziari più colpiti.
Piazza Affari ha chiuso una giornata nera con l’indice Ftse Mib in calo del 5,43% a 23.427 punti, dopo essere arrivata a perdere oltre il 6%. La seduta negativa ha causato una riduzione della capitalizzazione del paniere dei titoli principali della Borsa di Milano di circa 30 miliardi di euro.
La paura per un’escalation del coronavirus fuori dalla Cina affossa anche le altre Borse europee. L’indice Eurostoxx 600 ha perso il 3,84%. Londra arretra del 3,34% a 7.146 punti. Francoforte cede il 4,01% a 13.035 punti e Parigi il 3,94% a 5.791 punti. Anche Wall Street in picchiata, con perdite intorno al 3% (qui i mercati principali e l’andamento degli indici).
A Milano il decimo ribasso più ampio
Il crollo di lunedì a Piazza Affari, porta il Ftse Mib ad azzerare i guadagni dell’anno in corso. Il calo è il decimo ribasso più ampio degli anni 2000: la seduta peggiore per la Borsa di Milano è stato quello del 24 giugno 2016, quando il Regno Unito ha scelto di uscire dall’Unione Europea e l’indice principale di Piazza Affari ha perso il 12,48%. L’ultimo calo in doppia cifra prima di quello - gli indici erano però calcolati diversamente - fu sempre a giugno, ma nel 1981. L’11 settembre, il giorno dell’attentato alle Torri Gemelle, il calo fu del 7,57%; 3 giorni dopo, del 6,62%. Nel 2008, con la crisi seguita al crack di Lehman Brothers, la Borsa perse l’8,24%; nelle sedute successive i cali furono del 7,14% (10 ottobre 2008), 6,78% (16 ottobre) 6,20% (11 novembre) e 6,26% (1 dicembre). Anche nel 2011 la crisi sul debito italiano spinse Piazza Affari in profondo rosso: il primo novembre la correzione del Ftse Mib era stata del 6,8%. Quello di oggi, dunque, è «soltanto» il decimo ribasso più ampio dal 2000.
Spread a 145 punti
A Milano, dopo un’apertura già molto negativa (-3,4%), la Borsa è peggiorata durante l’arco della giornata: nel pomeriggio, in concomitanza con l’avvio in terreno fortemente negativo dei mercati americani (Dow Jones -3,2%, Nasdaq -4,5%), l’indice principale - ovvero il Ftse Mib - era arrivata a cedere il 6%.
Intanto lo spread fra Btp e Bund tedeschi staziona a quota 145 punti, con il rendimento del decennale allo 0,96%.
«L’Italia verso la recessione»
L’impatto dei contagi da coronavirus per l’Italia non si limita ai mercati finanziari. Ad aggravare la situazione contribuisce anche l’economia reale, con la recessione «tecnica» data quasi per scontata dopo il -0,3% del quarto trimestre 2019. E un 2020 che va verso la crescita negativa, con stime fra -0,5% e -1%: sono queste le prime stime degli economisti sull’impatto dei contagi in Italia. Se, dopo il -0,3% segnato nell’ultimo trimestre del 2019, il pil italiano dovesse subire una nuova contrazione nel primo trimestre sotto il peso dell’emergenza, il paese entrerebbe tecnicamente in recessione, segnando due trimestri consecutivi con il segno meno, con Lombardia e Veneto che da sole rappresentano circa un terzo del pil nazionale (leggi l’articolo completo).
Il coronavirus ha «chiuso» il Nord-Est. Vale a dire la parte più forte del Paese che da solo vale oltre il 30% del Pil e il 40% delle esportazioni. 

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Coronavirus, quanto dura l'incubazione: emergono nuovi dati

La quarantena standard dura 14 giorni, ma potrebbe non bastare

La prima difesa per fronteggiare il coronavirus è la quarantena. La tempistica standard è di 14 giorni, anche se il periodo di incubazione del COVID-19 è ufficialmente di 5,2 giorni. Il problema, però, è che si sono registrate delle eccezioni. Ed è anche per questo che l’Oms ha indicato in due settimane i giorni da passare in isolamento.
La media di incubazione varia sempre a seconda degli studi: secondo l’Oms si va dai 2 a 10 giorni, mentre per la National Health Commission cinese si concentra dai 10 ai 14. Meno ottimisti i CDC degli Stati Uniti: dai 2 ai 14 giorni. C’è però un caso che ha allarmato, e non poco, gli operatori sanitari. Nella provincia di Hubei, il 22 febbraio, un paziente ha presentato un periodo di incubazione di 27 giorni. A riferirlo, un quotidiano locale: la persona contagiata sarebbe un uomo di 70 anni che avrebbe sviluppato i sintomi il 19 febbraio dopo un unico incontro con la sorella vvenuto il 25 gennaio.
C’è poi un altro caso, individuato in uno studio Jama pubblicato il 21 febbraio, in cui è stato osservato un periodo di incubazione di 19 giorni. Come è possibile che le tempistiche siano così estese rispetto a quelle standard? L’Oms afferma che tali eccezioni possano essere doppie esposizioni all’infezione.
“Sì, c’è il sospetto che il periodo dell’incubazione in alcuni casi abbia superato i 14 giorni ipotizzati. E comunque ormai è evidente che il 5% dei contagi può partire da un asintomatico”, ha dichiarato al ‘Messaggero’ Walter Ricciardi, membro del Consiglio Esecutivo dell’Organizzazione mondiale della Sanità (Oms). “Proprio perché sono casi rari, penso che non sia opportuno rendere più lungo il periodo di quarantena”.

Coronavirus, dopo il primo contagio non si sviluppa l’immunità

L’Oms spiega i diversi tempi di incubazione con la teoria della doppia esposizione. Teoria che, di conseguenza, indica come non tutte le persone contagiate riescano a sviluppare poi un’immunità al coronavirus. I pazienti vengono dimessi quando i sintomi spariscono, la febbre scompare e i test risultano negativi per almeno due volte a distanza di 24 ore.
Ciò, però, non garantisce l’immunità persistente, ovvero la certa impossibilità di episodi di malattia successivi al primo. Solitamente, infatti, dopo un’infezione da virus vengono prodotti anticorpi con effetto protettivo. Tuttavia questi anticorpi potrebbero non durare così a lungo e i guariti potrebbero essere ancora a rischio di infezione. Senza dimenticare il rischio di possibili mutazioni.
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domenica 23 febbraio 2020

Brexit, Regno Unito punta a diventare un paradiso fiscale: il progetto di Johnson


Boris Johnson pronto a trasformare il Regno Unito in un paradiso fiscale? Con la Brexit non chiude al commercio
Con l’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea molte cose sono cambiate a seguito della Brexit. Cambiano le regole per gli stranieri residenti in Inghilterra e per quelli che hanno intenzione di trasferirsi lì, e anche per i viaggiatori varranno regole diverse.
L’unico settore al quale il Primo Ministro Boris Johnson non intendere imporre restrizioni, però, è quello del commercio (perché tanti – troppi – sono gli interessi in gioco).
Brexit, stretta sugli stranieri ma non su merci e capitali
La Brexit ha dato al Regno Unito il potere di stipulare nuovi accordi per la vendita di beni e servizi in tutto il mondo. Il commercio di beni e capitali con altri paesi esteri è un’importante trainante dell’economia britannica, da cui andamento positivo (o negativo) dipendono oggi milioni di posti di lavoro. Messa in questi termini, dunque, è facile capire come mai il nuovo accordo commerciale con l’UE, che il Governo di Boris Johnson sarà chiamato presto a negoziare, rappresenta oggi uno dei tasselli più importanti dell’affare Brexit.
Niente è deciso ancora ma, anche se la Francia sembra pronta a non concedere sconti all’Inghilterra, Johnson ha dichiarato più volte di non voler attuare nessuna stretta sul commercio internazionale. Al contrario di come è accaduto per la libera circolazione dei lavoratori europei e delle persone straniere, dunque, su questo fronte il Primo Ministro pare essere meno rigido (ovviamente, verrebbe da dire).
Brexit, l’accordo sul libero scambio che può trasformare il Regno Unito in un paradiso fiscale
La rinegoziazione degli accordi con l’Unione Europea mette di fatto l’Inghilterra nella posizione di poter procedere – da adesso – con una modifica dei regolamenti internazionali e nazionali interni. Quello su cui spinge il Governo inglese, preoccupato delle tariffe sull’import e l’export, è un accordo sul libero scambio, volto a incoraggiare il commercio – di solito in beni ma a volte anche in servizi – e renderlo più economico. Come è possibile tutto questo? Attraverso l’eliminazione o la modifica di tutte le tariffe e le commissioni per gli scambi transfrontalieri.
Con i nuovi accordi commerciali, inoltre, Johnson mira a rimuovere i limiti sulla quantità di merci che possono essere scambiate. Insomma, vista da un altro punto di vista, parrebbe che il Regno Unito sia pronto a trasformarsi in un vero e proprio paradiso fiscale, pronto ad accogliere più capitali che persone.

Cosa succede durante il periodo di transizione

In attesa che Unione Europea e Regno Unito raggiungano l’intesa, e prima dell’entrata in vigore delle nuove disposizioni, ci sarà comunque un periodo di transazione durante il quale gli attuali accordi commerciali con l’UE saranno ancora validi (quelli su mercato unico e unione doganale).
La transizione dovrebbe concludersi entro il 31 dicembre 2020, ed è probabile che i primi incontri ufficiali non inizieranno prima delle prime settimane di marzo.
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Salgono a 152 i contagi in Italia, tre i decessi Il Nord in quarantena. Al via i varchi a Vo'

Stop alle università per una settimana in Piemonte, Friuli Venezia Giulia e a Genova. Niente messe a Venezia. Chiuso il Duomo di Milano

C’è una terza vittima del Coronavirus. Una paziente oncologica morta all’ospedale di Crema. Mentre l’epidemia accelera. Più che raddoppiati i contagiati rispetto a ieri: sono 149 (esclusi i decessi). Entreranno in funzione dalle 7 i varchi di controllo, in entrata e in uscita, a Vo’ Euganeo, paese epicentro della diffusione del Coronavirus in Veneto. Si tratta di una delle misure di contenimento del rischio di contagio decisa venerdì sera con decreto del Governo. Saranno otto i varchi attivati nelle strade di accesso al Paese, controllati da personale dell’Esercito e delle forze dell’ordine.
L’Italia sale al terzo posto nella classifica mondiale per numero di casi, dopo Cina e Sud Corea. E il Nord si mette sotto quarantena per provare a frenare l’avanzata del Covid-19: stop a scuole, università, messe, pub, discoteche.
Le aziende pensano allo smart working per far lavorare da casa i dipendenti. Per gli 11 paesi delle zone focolaio è poi scattato il cinturamento: posti di blocco delle forze dell’ordine impediscono l’ingresso e l’uscita degli abitanti (circa 50mila in tutto).
Il premier Giuseppe Conte ha passato tutta la domenica nella sede della Protezione civile e prova a rassicurare: “sono sorpreso dall’esplosione dei casi, ma la linea della massima precauzione ha pagato, anche se sembrerebbe di no. Non bisogna affidarsi al panico, ma seguire le indicazioni delle autorità“.
Il Governo stanzia altri 20 milioni per fronteggiare l’emergenza. Il capo dello Stato Sergio Mattarella ha firmato il decreto con le misure speciali approvato la scorsa notte dal Cdm.
La TERZA VITTIMA è di nuovo una persona anziana, che era ricoverata da alcuni giorni nel reparto Oncologia dell’ospedale di Crema. Ed è sempre la LOMBARDIA la regione con il più alto numero di contagiati, 112, compresi i due morti. La Regione ha disposto la chiusura di scuole, università, musei. Sospese le messe. Porte sbarrate al Duomo di Milano (per i turisti) ed alla Scala. Stop a tutti gli eventi in programma. Restano aperti i negozi, ma non i bar ed i locali notturni, off limits dalle 18 alle 6. Le misure varranno per una settimana. “Se la situazione dovesse degenerare – ha spiegato il governatore Attilio Fontana – si potrebbero assumere iniziative più drastiche e rigorose” sul modello di quelle che in Cina sono state adottate “a Wuhan”.
Il premier Conte ha fatto sapere che le persone sfuggite dalla quarantena sono state “individuate e sono sottoposte a controllo delle asl locali”.
E nel capoluogo lombardo è corsa al cibo. I supermercati sono stati presi d’assalto dai milanesi.
Un dermatologo del Policlinico di Milano è risultato positivo al Coronavirus e si trova ora ricoverato all’ospedale Sacco. Si tratta del primo contagiato in città. 
Prova a chiudersi anche il VENETO, 22 contagiati, compresa la vittima (25 secondo la Regione, che include dei casi non ancora definiti). Il presidente Luca Zaia, ha firmato un’ordinanza per bloccare tutte le manifestazioni pubbliche, scuole e musei fino all’1 marzo. Si ferma anche il Carnevale di Venezia, dalle 24 di oggi. “E’ il provvedimento più grave che ho mai preso. Chiediamo la comprensione dei cittadini”, ha commentato Zaia.
 Misure analoghe anche in Piemonte, Friuli Venezia Giulia, Trentino Alto Adige – dove oggi si sono registrati i primi tre casi positivi, dei turisti lombardi – Liguria ed Emilia Romagna.
FS, RIMBORSI A CHI RINUNCIA AI VIAGGI. Il gruppo Fs prevede tra le misure attivate per l’emergenza Coronavirus anche “la definizione, in corso, di termini e modalità del rimborso in bonus per chi rinuncia al viaggio per tutte le tipologie di biglietto acquistate”. Inoltre sui treni verranno installati “dispenser di disinfettante per mani” e al personale sarà consegnato l’equipaggiamento protettivo (mascherine con filtro e guanti monouso”. Lo stesso provvedimento che è stato preso anche da Italo.

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