giovedì 25 dicembre 2008

IUniScuola.Rapporto sui cinesi in Italia/AISE

L’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni e il Ministero dell’Interno hanno presentato lo scorso 17 dicembre, nella sede del CNEL a Roma, il Rapporto di ricerca Analisi ed elaborazione dati sull’immigrazione cinese in Italia. Lo rende noto l'AISE.
Il rapporto, finanziato da Dipartimento per le Libertà Civili e l’Immigrazione, è stato realizzato dall’OIM tra aprile e novembre 2008, sulla base delle informazioni raccolte da ISTAT, INPS, Ministero dell’Interno, Ministero della Pubblica Istruzione, Confederazione Nazionale dell'Artigianato e Banca d’Italia.
L’analisi dei dati, integrata da informazioni di carattere qualitativo raccolte in 8 Province italiane tramite questionari completati da oltre 2500 cittadini cinesi e tramite interviste con referenti dei territori, hanno evidenziato elementi utili ad una migliore comprensione di una presenza rilevante nel panorama dell’immigrazione in Italia, con caratteristiche particolari e spesso difficilmente interpretabili.
Da un punto di vista quantitativo, la presenza di cinesi in Italia è aumentata del 66per cento nell’arco di tre anni: dalle 86 mila persone presenti nel dicembre 2003 alle 144 mila del dicembre 2006. Ma questo trend è in netto calo e si registra una diversificazione sia nelle aree di origine dei cinesi di nuovo ingresso sia nella loro dislocazione sul territorio italiano.
Parallelamente, il volume delle rimesse è aumentato del 293 per cento (dai 429 milioni di euro del 2004 a un miliardo e 687 milioni del 2007).
Impiegati principalmente nel commercio (46 per cento) nel settore tessile (42 per cento) e in quello della ristorazione (5 per cento), i cinesi residenti in Italia hanno un’età media di 32 anni, e di norma ritornano in Cina intorno ai 50 anni di età, o anche prima se hanno bisogno di cure mediche. Questa presenza circoscritta all’età produttiva e il forte impegno lavorativo aiutano a comprendere il perché del basso numero di decessi in Italia (da cui deriva il ricorrente stereotipo secondo il quale i cinesi non muoiono mai) e del limitato livello di integrazione della comunità cinese. I cittadini cinesi tendono a formare un nucleo familiare, ma per poter continuare a lavorare mandano i figli piccoli in patria, dove vengono affidati ai nonni, e li fanno tornare da adolescenti.
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http://www.portalino.it/nuke/modules.php?name=News&file=article&sid=34264

IUniScuolaLombardia : Non c’è un centesimo in più per le scuole che cadono a pezzi


"Consiglio Regionale : Non ci sono altre parole per descrivere quanto avvenuto oggi, durante la sessione di bilancio, con la bocciatura degli ordini del giorno dell’opposizione sul ‘ buono scuola ’ e sull’edilizia scolastica.
Non avevamo chiesto la luna e nemmeno di eliminare il finanziamento pubblico alla scuola privata, ma semplicemente di applicare a quest ’ ultima le stesse regole valide per quella pubblica, recuperando in questo modo risorse da destinare all’edilizia scolastica. Eppure, niente da fare. Forza Italia, An e Lega hanno compattamente respinto la proposta di eliminare le disparità di trattamento e i privilegi.
E così, mentre in Aula risuona da due giorni il lamento del ‘vorrei, ma non posso’ che parte dagli assessori ogniqualvolta si chiede di aumentare la spesa a sostegno dei redditi bassi, il centrodestra conferma con la massima tranquillità l’erogazione di un sussidio pubblico a chi frequenta la scuola privata e dichiara al fisco 100, 150 e persino 200 mila euro di reddito all’anno.
Pochi cittadini lo sanno, ma il ‘buono scuola ’ costa ai contribuenti ogni anno 45 milioni di euro e soltanto il 28% di questa cifra finisce in tasca a famiglie che dispongono di meno di 30 mila euro di reddito annuo. Miracoli di un coefficiente Isee truccato per l’occasione e dello strapotere della lobby di Comunione e Liberazione.
Oggi tutti i consiglieri di centrodestra, compresa la Lega, si sono inchinati in silenzio, senza riuscire ad argomentare il proprio voto, al volere e agli interessi di Cl.
I lombardi sappiano dunque che non c’è un centesimo in più per le scuole che cadono a pezzi perché bisogna continuare a spendere decine di milioni di euro per regalare un privilegio a una clientela politica che non ne avrebbe nemmeno bisogno.”
di Luciano Muhlbauer Consigliere regionale Prc-Se Milano, 17 dicembre 2008

mercoledì 24 dicembre 2008

Galileo, il caso non è chiuso

Non fu affatto “incomprensione reciproca”(di Alessandro Litta Modignani)

Non è affatto vero che la Chiesa cattolica ha finalmente riconosciuto gli errori commessi con il processo a Galileo e che l’antica questione è definitivamente chiusa. Semmai è vero il contrario.
Nel 1981 Papa Wojtila decise di istituire una commissione che, sia pure con tre secoli e mezzo di ritardo, sciogliesse un nodo fonte di perenne imbarazzo per la dottrina ufficiale della Chiesa. Questa commissione ha lavorato per 12 anni, con studi approfonditi e dotte discettazioni. Le resistenze non sono mancate, come dimostrano le dichiarazioni rese a suo tempo da autorevoli porporati quali Biffi e Maggiolini. Nel 1992 lo stesso Giovanni Paolo II pronuncia la solenne formula del perdono nei confronti del grande scienziato: “Ego te absolvo”. Si potrebbe facilmente obiettare che semmai il Papa avrebbe dovuto chiedere di essere perdonato, invece di perdonare. Ma non è questo il punto. Nel motivare la “riabilitazione” per Galileo, il Pontefice si è limitato a riconoscere che la condanna fu il frutto di una “tragica incomprensione reciproca tra lo scienziato pisano e i giudici dell’Inquisizione”. Solo alla luce di questa valutazione, ammette la Chiesa, la decisione del Sant’Uffizio deve essere considerata “avventata e infelice”. Ma quale incomprensione ? Perché reciproca ?
Galileo, nell’ambito delle sue osservazioni astronomiche, ha sicuramente commesso alcuni errori di valutazione, legati alle scarse conoscenze della sua epoca. Paul Feyerabend, il filosofo della scienza non a caso citato in proposito da Papa Ratzinger, ha messo in luce alcuni limiti della ricerca gelileana, ma tutto questo non può essere addotto a giustificazione degli inquisitori. Le considerazioni di Feyerabend, riprese da Ratzinger, sono assolutamente non pertinenti, sul piano processuale. Entrare nel merito delle scoperte significa fare finta di non capire la natura intrinseca della controversia. Il fatto fondamentale e incontrovertibile è che Galileo aveva diritto di sbagliare, mentre l’Inquisizione non aveva alcun diritto di impedirglielo. In questa disparità non c’è nulla di “reciproco”. Nel primo processo, del 1616, a Galileo viene tassativamente proibito di proseguire le sue ricerche, cioè di approfondire quelle teorie copernicane che – contraddicendo il testo biblico - gettavano nel panico le gerarchie ecclesiastiche. Gli fu ingiunto di non scrivere né insegnare nulla che riguardasse l’universo, soprattutto “non in pubblico e in lingua volgare”. Nel successivo processo del 1633 Galileo fu costretto ad abiurare. Invocare una “tragica incomprensione” per tutto ciò, significa semplicemente mistificare i termini della questione. Tragico semmai è l’oscurantismo con il quale la Chiesa pretendeva – e tuttora pretende - di difendere le cosiddette “sacre scritture”, testi sicuramente suggestivi dal punto di vista storico e antropologico, ma che sul piano fattuale presentano aspetti ridicoli. Allora come oggi, il problema con cui la Chiesa deve misurarsi è il diniego alla libertà di ricerca scientifica: un nodo tutt’altro che risolto, come dimostrano ad esempio la questione delle cellule staminali embrionali o la clonazione terapeutica.
In definitiva, ciò che deve essere imputato fermamente alla Chiesa è la volontà di contrastare la libertà di ricerca, nel ‘600 come nel 2000, e non certo il diritto di contestare la validità delle scoperte che, da quella ricerca, potranno eventualmente scaturire.