Coronabond o Mes? Le 24
ore che possono cambiare la storia dell’Europa
Vertice “rinviato”. Nell’eurolingua delle burocrazie e dei
comitati decisionali di Bruxelles ci sono dei “rinvii” che sono sinonimo di
cattive notizie. Ed è questo il caso dell’Eurogruppo forse più importante dalla
riunificazione della Germania ad oggi: quello che deve decidere dei
provvedimenti per fronteggiare l’emergenza Coronavirus. Come è noto, la
Commissione è radicalmente divisa, ormai da due settimane e vive al suo interno
(sia pure con rapporti di forza leggermente mutati) le stesse contrapposizioni andate in scena nella riunione
precedente dei leader: i commissari e i primi ministri di Italia, Francia,
Spagna e Portogallo – a partire da Paolo Gentiloni – a favore di un piano
europeo per la ripresa finanziato da risorse europee messe in comune, mentre
quelli di Austria, Paesi baltici e (purtroppo) la presidente Ursula Von der
Leyen (che ha sentito il richiamo della foresta della madrepatria tedesca), sono
freddi o contrari a qualsiasi intervento di tipo mutuale.
L’Eurogruppo di ieri è
iniziato in ritardo perché si combatte da giorni, tra gli sherpa, sulla bozza
di accordo. La parola d’ordine della Von der Leyen, adesso è la stessa scelta
per combattere l’idea dei “Coronabond” lanciata dal governo italiano: lo
chiamano “Recovery Plan” ed è un finanziamento legato al bilancio dell’Unione
ossia ai fondi europei. Attingere ai fondi significa ridurre l’intero pacchetto
di aiuti per la crisi indotta dal Covid-19 a poco più di un lifting rispetto a
quanto era stato preventivato. Il che è una follia, se si pensa che solo gli
studi di UniCredit prevedono un crollo di Pil del 13% per l’area euro (circa
1.600 miliardi di euro di redditi cancellato per gli effetti della crisi).
Quanto al “Sure”,
il piano di sostegno del lavoro che tanto
appassiona la Von der Leyen, ha dei limiti di capienza enormi: basta pensare
che nel nostro paese l’intero stock previsto dal piano può servire ad erogare
poco più di quattro settimane di cassa integrazione (di fatto lo abbiamo già
virtualmente esaurito). Fra l’altro il nostro governo può attingere solo al 20%
dell’intero ammontare del fondo: per poterlo fare, tuttavia, deve anche fornire
garanzie per 5 miliardi miliardi di euro, e questi fondi avrebbero una linea di
restituzione privilegiata rispetto alle altre forme di finanziamento.
Il punto che si deve
sciogliere tra oggi e domani, dunque è il quanto e il come. E Germania e Olanda
hanno una ricetta in tasca in proposito: usare lo strumento del Mes ma senza
perdere le “condizionalità” (come vogliono i paesi del Sud). Il che significa
non rinunciare mai ad un controllo delle spese da parte della Commissione. Ma
il Mes è uno strumento vecchio e pensato per crisi di tipo economico, ed è
limitato al 2% del prodotto (Pil) del Paese che chiede di potervi accedere. Il
primo dubbio, dunque, è questo: quanto può incidere sulla crisi, se ogni paese
europeo perderà mediamente l’11% del suo prodotto interno?
Di qui il rischio –
paventato da molti, e non solo dai sovranisti, che anche il congegno possa
diventare un cavallo di Troia in una scatola cinese: metti che il tuo governo
accetti il primo prestito del Mes con una “condizionalità ridotta”, ma subito
dopo debba richiederne di nuovi, e di entità maggiore, e finire stretto nella
morsa di una vigilanza progressiva ed incombente: alla fine di questo tunnel c’è
il modello trojka. E alcuni dei più esagitati esponenti dell’Europa del nord
non fanno mistero di considerare questo meccanismo non come un effetto
collaterale, ma come una necessità per proteggersi dai desideri di
assistenzialismo che immaginano nascosti, nei paesi dell’Europa del sud, dietro
i conteggi dei morti e i numeri dell’emergenza Covid.
La condizionalità
richiesta, dunque, sarebbe la firma di un Memorandum d’intesa che pur diverso
da quello firmato a suo tempo dalla Grecia, esigerebbe vincoli e controlli di
Bruxelles sui bilanci degli Stati. Per questo il ministro Roberto Gualtieri ha
ribadito anche ieri: “L’unico Mes che l’Italia può accettare è con condizioni
azzerate” (ma perché questto accadesse bisognerebbe modificare un trattato). In
assenza di un accordo sul salva-stati, quindi, l’unica convergenza che si è
registrata, per ora, è quella sulla Bce. Si tratta del nulla osta al fondo di
emergenza della Banca europea per gli investimenti che (pur dopo ulteriori 25
miliardi di garanzie) si propone di mobilitare, indirettamente, 200 miliardi di
prestiti alle imprese.
Ma il resto? Un bel
dilemma. Ecco perché i paesi del sud hanno un bisogno vitale che l’eventuale
“Recovery Plan” deciso domani sia definito da una condizione discriminante:
ovvero finanziato con risorse comuni, e con entità di spesa più vicine ai
deficit che la crisi lascia intravedere già adesso in tutti gli studi. Il che
significa che questa cifra deve avvicinarsi al 10%, piuttosto che al 2%. È per
questo motivo che la Germania sta cambiando strategia: da quando ha iniziato a
perdere alleati (ad esempio con il passaggio di Belgio e Lussemburgo al fronte
del bond) manda avanti i falchi olandesi a fare la voce grossa, e cerca di
rinviare ed annacquare il più possibile. Non è detto che il tempo giochi a suo
favore nel lungo periodo (i contagi e le vittime – è triste dirlo – sono ormai
arma di persuasione) ma nel breve consente alla Merkel di evitare il rischio
politico più grande: finire in minoranza ed isolata.
A Berlino sono tante le
voci a favore di una solidarietà europea (l’ultimo, intervistato da Paolo
Valentino sul Corriere della sera è stato l’ex cancelliere
Schroeder) ma il timore della Cdu è che ogni allentamento del cordone porti
voti all’ultradestra di Afd in vista delle prossime elezioni. La bestia nera
del fronte pro-bond ha il nome impronunciabile del ministro olandese Wopke
Hoekstra, che continua a minacciare di opporre veti. Tutto questo minoritario
ma agguerrito fronte del “No” – i tedeschi, gli austriaci e gli olandesi – sembra
ignorare lo stato d’animo delle opinioni pubbliche, esasperate, ferite, e poco
inclini a comprendere un discorso di egemonia rigoristico-nazionalista: laddove
ha fallito la critica dei sovranisti a Bruxelles, infatti, potrebbe riuscire il
Coronavirus. E il no alla solidarietà è il vero virus che può dissolvere – dopo
tanti anni di sacrifici e conquiste – una idea comune dell’Europa. La posta in
gioco delle prossime 24 ore è questa, e il rischio che la Germania e i suoi
alleati si stanno sobbarcando va oltre quello della normale negoziazione. La
rabbia, infatti, non conosce la parola “rinvio”.
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Eurobond: la strana alleanza contro la Germania /