giovedì 25 febbraio 2010

Fondazione Giovanni Agnelli: IUniScuola, RAPPORTO SULLA SCUOLA IN ITALIA 2010

Presentazione nazionale
«Per ridurre i profondi divari territoriali della scuola italiana è necessario perseguire in primoluogo due obiettivi: (i) migliorare i livelli di apprendimento degli studenti in tutto il Paese, in particolare, di coloro che oggi si situano sotto la soglia minima delle competenze definita a livello internazionale (in alcune regioni del Sud superano il 30%), (ii) contrastare il fenomeno dell’abbandono scolastico (il 20% non raggiunge un diploma di secondaria superiore), che pone l’Italia fuori dalla norma europea. Con la consapevolezza, fondata su risultati di ricerca, che questi obiettivi non contrastano con la ricerca dell’eccellenza. Al contrario, qualità ed equità della scuola oggi possono e devono procedere insieme.
Si tratta di una priorità nazionale, a cui il futuro federalismo scolastico - previsto dalla riforma del Titolo V della Costituzione e di prossima attuazione – è in grado di dare risposte positive. Acondizione di essere un processo ben governato e in grado di responsabilizzare tutte le regioni:un federalismo “per abbandono” potrebbe, invece, aggravare i divari della scuola.
Sono le principali raccomandazioni di politica scolastica che discendono dalle ricerche contenute nel Rapporto sulla scuola in Italia 2010 della Fondazione Giovanni Agnelli.
Il nuovo Rapporto sarà presentato in anteprima nazionale domani a Roma dal direttore dell’istituto di ricerca torinese, Andrea Gavosto, presso la sede degli Editori Laterza, per i cuitipi sarà in libreria ai primi di marzo. Alla presentazione parteciperanno il ministro Mariastella Gelmini, Maria Sole Agnelli e John Elkann (presidente e vicepresidente della Fondazione Agnelli).
Il Rapporto mette al centro i numerosi divari che caratterizzano la scuola italiana e la penalizzano nei confronti internazionali. Fra questi, i divari socioculturali: troppo spesso in Italia l’estrazione sociale dello studente conta ancora di più delle sue capacità e ne determina le scelte formative e il successo scolastico: le famiglie più abbienti e colte mandano i figli al liceo, mentre gli studenti con un retroterra meno favorevole – inclusi quelli di origine straniera - sono più soggetti alla dispersione e tendono a concentrarsi in alcuni indirizzi scolastici, come i professionali.
Ancora più evidenti sono in Italia i divari territoriali: essere uno studente del Sud significa partire con uno svantaggio di 68 punti nelle competenze misurate da OCSE-PISA– l’equivalentedi circa un anno e mezzo di ritardo scolastico - rispetto a uno studente del Nord, indipendentemente dalla caratteristiche individuali e della scuola che si frequenta: un dislivelloenorme e inaccettabile in un paese avanzato.
Per approfondire questi temi, il Rapporto della Fondazione Agnelli propone un’inedita ricostruzione della spesa per la scuola italiana così come oggi si articola a livello regionale, facendola seguire da una simulazione delle conseguenze del passaggio al federalismo scolastico, cioè a una spesa basata sulla nozione di costo standard insita nella legge sul federalismo fiscale (legge Calderoli).
Nel 2007 la spesa pubblica per l’istruzione scolastica è stata poco meno di 60 miliardi di euro,di cui 43 a carico dello Stato (in massima parte per le retribuzioni del personale), 10 degli enti territoriali (di cui 6 dai Comuni) e 5,5 per affitti figurativi del patrimonio edilizio.L’Italia spende in media 6.600 euro all’anno per studente: si va dai 9.900 euro del Trentino Alto Adige ai 5.800 della Puglia. Le differenze delle spese regionali sono imputabili essenzialmente a tre fattori: le dimensioni dei plessi e delle classi, che rispecchiano morfologia e demografia del territorio; la diffusione del tempo pieno e del tempo prolungato; la presenza di allievi disabili e di insegnanti di sostegno.
Questo è un risultato importante, perché mostra come i divari regionali di spesa non dipendano in modo significativo da sprechi e inefficienze, bensì da scelte che il Paese ha fatto in materia di politiche scolastiche: scelte che sembrano ben fondate, se a tutti coloro che vivono nel nostro paese si vuole garantire un’istruzione adeguata – perché raggiungibile senza grandi disagi, perché compatibile con l’organizzazione della vita familiare e il lavoro delle donne, perché attenta alle esigenze dei ragazzi più deboli.
Dal Rapporto emerge un’evidenza in parte inattesa: il processo di razionalizzazione della spesa,previsto dal piano programmatico del ministro Gelmini, in particolare attraverso una riduzionedegli organici (che nel Sud sarà più accentuata per via della forte contrazione della popolazionestudentesca), sta già avvicinando la spesa storica per la scuola alla nozione di costo standard propria del federalismo fiscale.
Nella simulazione dello scenario del federalismo scolastico irisparmi di spesa per personale sarebbero di 3,2 miliardi di euro all’anno, soltanto 600 milioniin più rispetto al piano del ministro Gelmini.
Ciò suggerisce che assegnare al federalismo scolastico (come spesso avviene nel dibattitopolitico) soltanto obiettivi di risparmio e razionalizzazione della spesa non sarebbe molto utile,perché una buona parte di tali obiettivi si stanno raggiungendo in assenza e prima di esso.
Il federalismo scolastico può essere, al contrario, uno strumento di grande utilità, se porterà Stato e Regioni a definire patti che abbiano al centro chiari obiettivi di risultato in termini di qualità dell’istruzione: colmare i divari territoriali e assicurare a tutti, in tutte le regioni, ciò che finora la scuola italiana fino a oggi non ha saputo dare, cioè, livelli di apprendimento adeguati emaggiore equità delle opportunità di accesso e di successo formativo. Il primo diritto di ogni alunno, indipendentemente dalla sua estrazione sociale e il suo luogo di residenza, è infatti quello di raggiungere un livello di competenze che gli consenta di partecipare in modo attivoalla vita economica e civile dell’Italia nel XXI secolo.
Nella logica del federalismo fiscale per l’istruzione tali obiettivi andranno adeguatamente e integralmente finanziati dallo Stato, con il ricorso all’intervento perequativo.
Dovrà essere lo Stato a sorvegliare – attraverso il sistema di valutazione nazionale - gli effettivi risultati delle Regioni e nel caso sanzionare quelle che non li raggiungono.
Alle Regioni toccherà, invece, la scelta delle strategie più opportune a conseguirli.
Secondo la Fondazione Agnelli, tale prospettiva sarà realisticamente perseguibile soltanto se i risparmi che si stanno ottenendo nell’opera di razionalizzazione della spesa scolastica saranno interamente reinvestiti nella scuola stessa e finalizzati alla realizzazione degli obiettivi fissati.»
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Roma, 23 febbraio 2010
Ufficio Stampa Fondazione Giovanni Agnelli

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