martedì 20 gennaio 2009

30 gennaio: giornata nazionale della partecipazione

Riunione straordinaria del Consiglio Provinciale
IUniScuolaMilano partecipa all'iniziativa.Per i cittadini:Un'occasione da non perdere:

CONSIGLIO PROVINCIALE DI MILANO
Venerdì 30 gennaio 2009 alle ore 10 Via Vivaio, 1 - 20122 Milano
aperto anche ai cittadini

Costruiamo insieme il nuovo sistema Paese: In tutta Italia, riunione straordinaria dei Consigli Provinciali

"L'Italia delle Province riparte dal confronto: il 30 gennaio prossimo, infatti, in tutto il Paese si terranno Consigli provinciali - aperti anche alla partecipazione dei sindaci, delle forze sociali e politiche, dei rappresentanti di Parlamento e Regioni, agli imprenditori e ai cittadini - per discutere delle riforme che dovranno portare alla riorganizzazione dello Stato, alla definizione delle funzioni di ciascuna istituzione, all'eliminazione degli enti strumentali e alla semplificazione del sistema, a partire dal Federalismo Fiscale e dal Codice delle Autonomie.
Un evento che vedrà idealmente riunite le Province in contemporanea in tutta Italia."
Fonte: Unione Province d'Italia

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Lettera aperta ai dirigenti di Radicali italiani


di Carlo Troilo

Nei giorni scorsi “Notizie Radicali” ha pubblicato un articolo di Demetrio Bacaro, secondo il quale ai Radicali Italiani mancano due cose per candidarsi a divenire classe dirigente: il radicamento territoriale e la mancanza di visibilità. Ma ha pubblicato anche diversi interventi in cui si sollecita un impegno per l’abolizione delle province.

Prendo spunto da questi interventi per chiedere a Marco Pannella, ad Emma Bonino, ad Antonella Casu ed agli altri dirigenti radicali di non lasciare senza risposta le considerazioni e le proposte che svolgerò qui di seguito. Mi sento autorizzato a farlo per due ragioni. La prima è che sono da sempre vicino ai Radicali: come militante socialista, ho avuto per molti anni la “doppia tessera” e ormai da tempo collaboro in modo impegnativo con l’Associazione Luca Coscioni. La seconda è che, avendo da poco superato la soglia dei settanta anni, non vedo prospettive di uscita dalla drammatica situazione politica e morale del Paese, che vivo, come la maggioranza degli italiani, con profondo sconforto.

Penso che uno dei motivi per cui i Radicali Italiani non diventano “classe dirigente” – oltre a quelli indicati da Bacaro - stia nella scelta dei temi di attività politica. Naturalmente, condivido a pieno l’impegno sul fronte dei diritti civili, che ha avuto i suoi momenti culminanti con le battaglie di Coscioni e Welby e con la moratoria sulla pena di morte. E capisco anche il valore politico e morale di “campagne di legalità” quali quelle sulla anagrafe degli eletti o sulla Commissione di Vigilanza. Ma è necessario prendere atto che questi temi, su cui pure è giusto continuare a battersi, non sono quelli prioritari per la quasi totalità degli italiani. E dunque sarebbe opportuno guardare in modo meno elitario alla realtà, che in sintesi – dando per scontati temi “storici” come l’arretratezza del Mezzogiorno e la criminalità organizzata - vede oggi al primo posto, in una scala di urgenza e di gravità, il dramma delle nuove povertà.

Nel 2005, in Italia, quasi una famiglia su sei ha dichiarato di arrivare alla fine del mese con molta difficoltà, mentre quasi una su tre non è riuscita a far fronte a una spesa imprevista anche se di importo inferiore a 600 euro. Le famiglie con spesa per consumi inferiore alla soglia di povertà, cioè povere in termini relativi, sono 2 milioni 585 mila , per un totale di poco più di 7 milioni e mezzo di persone. E’ la situazione della popolazione italiana descritta nel Rapporto annuale 2006 dell’ISTAT. A questi dati avvilenti se ne potrebbero aggiungere altri relativi agli elevati quozienti di disoccupazione e di lavoro precario oppure alle carenze che si registrano nella sanità, nella scuola ed in altri settori che misurano la civiltà di un popolo. Questi dati, relativi al 2005, oggi sono certamente più gravi e sono destinati ad aggravarsi ancora con il perdurare della crisi economico-finanziaria che ha investito anche il nostro Paese.

Mi permetto allora di suggerire due temi su cui i Radicali Italiani potrebbero utilmente attivarsi.

Il primo è l’evasione fiscale, che nel 2007 ha raggiunto i 100 miliardi: lo stesso ammontare del costo totale della Sanità italiana, il doppio della evasione media in Europa. Nel 2007 l’agenzia delle entrare ha recuperato 6,3 miliardi di euro, ma solo una minima parte (il 7,3%) è entrata effettivamente nelle casse dello Stato, per vari e noti motivi: perché l’evasore, soprattutto il grande evasore, riesce quasi sempre a figurare nullatenente; per la lunghezza dei contenziosi; per i condoni e così via. Un solo dato per sottolineare l’enormità economica, oltre che morale, del problema: se si recuperasse metà di quei 100 miliardi si potrebbero aumentare tutte le pensioni italiane del 45%. Ma basterebbe il recupero di un 20% (20 miliardi di euro) per ottenere, ogni anno, la disponibilità di una somma pari ad una impegnativa legge finanziaria.

C’è però un solo modo per rendere davvero efficace la lotta all’evasione: considerarla un reato e prevedere pene adeguate alla sua gravità. L’esperienza di molti paesi dimostra che la paura del carcere è il migliore alleato del fisco: tra il 2000 e il 2007 negli Stati Uniti sono state arrestate per evasione fiscale 11.700 persone, e la condanna media è stata di 30 mesi, saliti a 37 per i manager di imprese che hanno evaso il fisco. I politici italiani dovrebbero essere incoraggiati a muoversi in questa direzione dal fatto che da tutte le indagini demoscopiche (particolarmente approfondita quella condotta nel 2004 dal CRES), la lotta all’evasione è considerata una delle priorità assolute della azione dei governi da otto cittadini su dieci.

Il secondo tema è l’abolizione delle province. La proposta meno drastica – formulata tempo addietro da Gianfranco Fabi sul “Sole 24 Ore” e sostenuta da un esperto di questi temi come Carlo Tognoli – è quella di “limitarsi ad abolire la dimensione di rappresentanza politica che nelle province si esprime (presidenti, vice presidenti, assessori, consiglieri), facendo della struttura tecnica – operativa il braccio esecutivo di scelte politiche meglio gestibili su basi regionali”. Questa soluzione eviterebbe di creare un problema occupazionale (i dipendenti delle province sono oltre 60.000). Si potrebbe però prevedere una riduzione graduale di questo personale, una volta verificate le duplicazioni di funzioni con gli altri enti locali, con il ricorso al blocco totale o parziale del turn over.

Il calcolo di Fabi e di Tognoli - condiviso da Renato Soru, da Alberto Statera su “La Repubblica” e da altri “cultori della materia” - è che con questa scelta si potrebbe risparmiare circa un terzo del costo totale delle province (7 miliardi su 20). Cosa si potrebbe fare con questi sette miliardi di euro? Solo per fare un esempio, si potrebbero dare 400 euro al mese in più ai pensionati, per il 70% donne, che vivono con meno di 500 euro al mese. Si tratta di 1.739.000 pensionati: tra questi, è particolarmente penosa la situazione dei 460.000 anziani, all’80% donne, che ricevono soltanto la pensione sociale, nella misura media di 398 euro al mese. Oppure, si potrebbero destinare questi 7 miliardi a rendere meno drammatici i problemi della vecchia e nuova disoccupazione.

In realtà, il costo vero delle province risulterebbe sicuramente di molto superiore ai 20 miliardi se si potesse calcolare in che misura esse concorrono alla proliferazione delle aziende a controllo pubblico. Circa un anno fa Linda Lanzillotta, all’epoca ministro per gli Affari Regionali, ci informava che queste ultime “sono diventate 3.211, con 17.445 consiglieri di amministrazione. Quelle che si occupano di servizi pubblici locali sono 889: sono raddoppiate negli ultimi cinque anni, ma il numero dei loro dipendenti è rimasto lo stesso: sono raddoppiate solo le poltrone”. Una dimostrazione “a contrario” del ruolo parassitario di queste aziende è stata fornita il 30 dicembre scorso dal “Corriere della Sera”, che forniva questi dati sui politici “trombati” alle elezioni e compensati con incarichi nelle aziende pubbliche: nel 1996 erano 43, di cui 18 in aziende pubbliche nazionali e 25 in locali; nel 2006 sono stati 95, di cui 32 in nazionali e 63 in locali. Tra queste aziende pubbliche “locali”, che proliferano incontrollatamente, molte sono certamente riferibili alle tante inutili attività delle province.

Sulla proposta della loro abolizione si è recentemente battuto Vittorio Feltri, con una lunga ed efficace campagna su “Libero”. Feltri ha ottenuto molte adesioni ma non quelle di Berlusconi, che pure aveva previsto l’abolizione delle province nel suo programma di governo, e di Veltroni, che nel programma del PD aveva inserito una frase degna del signor di Lapalisse: “Cominceremo da subito abolendo le Province nei grandi Comuni metropolitani, ai quali andranno dati poteri reali in settori importanti come la mobilità” (ci mancherebbe solo che coesistessero, a Roma o a Milano, la Città Metropolitana e la Provincia).

Ai dirigenti Radicali Italiani vorrei infine segnalare un tema che non riguarda l’economia ma i diritti civili. Due ministri del governo Berlusconi, Rotondi e Brunetta, hanno presentato un disegno di legge sulle unioni di fatto. Nel contenuto, il ddl è senz’altro timido rispetto alle attese dei milioni di possibili fruitori. Tuttavia, a parte la possibilità di migliorarlo nella fase di dibattito parlamentare, esso rappresenta il primo episodio di “ribellione” di due autorevoli esponenti del centro destra ai diktat e ai veti del Vaticano e, comunque, introduce due novità clamorose per un Paese come il nostro: il riconoscimento di forme di convivenza diverse dal matrimonio; la “concessione” di alcuni diritti a persone dichiaratamente omosessuali. I due proponenti hanno precisato di agire a titolo personale ed hanno già raccolto oltre 50 firme di parlamentari della maggioranza. Ci sarebbero dunque le condizioni per far convergere sul ddl Rotondi - Brunetta tutti gli esponenti del centro sinistra favorevoli a questa riforma, ormai in vigore da anni, e con formule molto più incisive, in tutti i paresi comparabili con l’Italia. Per una volta, si potrebbe così realizzare quella “centralità del Parlamento” che tanti deputati e senatori, ridotti a “peones” dal ruolo dominante dei partiti, invocano a parole.

Su questi temi i Radicali Italiani dovrebbero assumere altrettante iniziative politiche, possibilmente assieme al Partito Socialista. E’ questo un argomento troppo complesso per trattarlo in un inciso, ma non so trattenermi dal dire che avere affossato la Rosa nel Pugno é stato, per entrambe le componenti del nuovo soggetto, un errore di estrema gravità perché quella proposta politica – se coltivata con pazienza e non abbandonata per eccesso di autoreferenzialità e dopo i primi risultati elettorali – avrebbe potuto “richiamare in servizio” i tantissimi cittadini laici e progressisti rimasti orfani dopo le vicende degli anni Ottanta e Novanta.

Comunque, con i socialisti o da soli, i Radicali Italiani potrebbero su questi temi “stanare” il Partito Democratico ed obbligarlo a prendere posizione in battaglie che vedrebbero certamente l’opposizione di alcuni oligarchi di partito, ma troverebbero dalla loro parte la grande maggioranza degli italiani.