martedì 9 dicembre 2008

Credito e crisi: la strada del recupero della fiducia e della valorizzazione del localismo

La salvezza è nella centralità del cliente

La crisi che ha attraversato il sistema finanziario lascia aperto il dibattito sia sulle prospettive e i tempi di ragionevole uscita sia sugli strumenti da mettere in campo. Peraltro, è necessario valutare quali cause abbiano portato ad una situazione di crisi e quali siano le possibili logiche di risoluzione.

Sotto il profilo delle cause, la crisi ha visto il concomitante scatenarsi di determinanti molto differenti e, per certi versi, slegate fra loro. L’attuazione del nuovo sistema di regolamentazione sul capitale delle banche ha significativamente e deliberatamente ridotto la dimensione del patrimonio di vigilanza necessario per operare sul mercato, spingendo sì a una maggiore efficienza, ma contribuendo a ridurne la solidità.

Le scelte regolamentari delle autorità di vigilanza statunitensi hanno poi portato, con l’eliminazione del Glass Steagall Act nel 1999 e il passaggio dei controlli sull’investment banking dalla Fed (più stringente) alla Sec (meno stringente) nel 2002, a un utilizzo più disinvolto di operazioni esposte a forti rischi di conflitto di interesse: fra tutte, la cartolarizzazione di finanziamenti non performing e l’assistenza delle aziende finanziate al collocamento di obbligazioni.

La forte dinamica di crescita del mercato immobiliare americano e l’utilizzo spregiudicato dei mutui ipotecari su abitazioni già acquistate come forma di credito al consumo hanno condotto alla progressiva insostenibilità del debito da parte dei prenditori stessi in presenza di valori calanti degli immobili. Inoltre, l’applicazione dei principi Ias all’intero bilancio delle banche ha esposto a un’eccessiva volatilità le poste attive e il patrimonio netto, mentre la presenza di significativi “gap etici” (la proposta di derivati a controparti non consapevoli e preparate), ha alimentato una crescita dei rischi di default.

Tali determinanti si propagano dagli Usa, in un sistema finanziario fatto di banche oramai troppo grandi e interconnesse fra loro. Le ricadute emergono quindi a livello globale attraverso tre grandi fenomeni. In primo luogo, la diffusione di insolvenze e default dapprima rilevata per i mutui ipotecari, poi estesa ai veicoli strumentali e alle cartolarizzazioni, giunge fino alle banche e alle imprese assumendo una rilevanza, anche emotiva, intollerabile. In secondo luogo, il motore fondamentale, rappresentato dal sistema interbancario, è attraversato dalla sfiducia fra i partecipanti agli scambi e porta a una crescita dei tassi di interessi, che si riflette sia in un credit crunch sia in una crescita del costo dei finanziamenti. In terzo luogo, la clientela retail perde fiducia nel sistema finanziario, assumendo comportamenti volti a liquidare i propri investimenti attraverso la logica dei prelievi (e il trasferimento ad altri circuiti, quale quello postale) e dell’uscita dai fondi di investimento. Complessivamente, tali fenomeni spingono a una riduzione della liquidità funzionale alla concessione dei prestiti e a una crescita dei costi di utilizzo del sistema finanziario.

Le logiche di uscita si stanno sviluppando attraverso azioni di breve e di medio termine. Le prime hanno già portato in Europa e negli Usa a piani per garantire la ricapitalizzazione (salvataggio) di banche e per mitigare i rischi di default per la clientela retail. Se tali azioni hanno rappresentato un atto dovuto da parte dei governi, la partita effettiva dell’uscita dalla crisi si giocherà sulle azioni di medio termine.

Sotto questo profilo, due scenari molto diversi si stanno concretizzando. Il primo fa leva su interventi di forma neostatalista che potranno combinare la separazione fra commercial e investment banking a una presenza dello stato nel capitale delle banche e a una crescita della regolamentazione in tema di assunzione di rischi. Il secondo, più sfidante ma dai contorni più complessi, si può giocare su un deciso recupero della fiducia del cliente, sulla valorizzazione del localismo e del territorio, sul ripristino del ruolo delle fondazioni.

Le scelte regolamentari appaiono più rassicuranti, incisive e rapide, ma la centralità del cliente pazientemente aspetta il proprio turno.
di Stefano Caselli, ordinario di economia degli intermediari finanziari alla Bocconi

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